Via dell'Arco della Pace (R. V – Ponte) (da via dei Coronari a via della Pace)
Via della Pace (R. V) (da Piazza del Fico al vicolo omonimo)
Vicolo della Pace (R. V) (da Via della Pace a Largo Febo)
La “via degli Acquarecchiari”, così come la chiesa di Sant’Andrea [1], ivi allora esistente, era detta “de aquaricariis”; “de aquaricciaris; “de aquarenariis”; “de incaricariis”; e “del Pozzo di Proba”. Nomi tutti che servivano a identificare anche la strada (Arco della Pace), durante il medioevo.
Fu chiamata così per la compagnia degli acquaioli [2] che la possedeva e che fino al XV secolo fu molto potente. Traendo l’acqua dal Tevere e facendola depositare per alcuni giorni, la distribuivano poi alla cittadinanza tutta [3], ridotta ad abitare in un intrico di vicoli, di viottoli, fiancheggiati da casupole dove il lezzo, il sudiciume, la povertà contrastavano singolarmente con l’allegria e il torbido carattere degli abitanti.
Non esisteva lastricato [4], non fontane, di modo che acquitrini circondavano le chiese distrutte. Al Laterano entravano liberamente le pecore, ed i lupari avevano da lavorare, per cacciare i lupi [5] che si annidavano fra i ruderi dei monumenti, e le basiliche senza tetto e crollanti. Ancora nel XV secolo, negli statuti di Roma del 1469 è detto: “se qualcuno in qualunque modo uccida un lupo in città, riceva dalla Camera 10 giuli; se fori della città per il circuito di 10 miglia, 5 giuli”. I lupari preferiti erano trasteverini.
La suddetta chiesa di Sant’Andrea aveva nel portichetto un’immagine della Vergine e, a questo proposito, si tramanda: “che questa, colpita da un sasso (o da 3 colpi di stiletto) di un sacrilego giocatore, spicciasse (stillasse) sangue” [6]. Il pontefice Sisto IV (Francesco Della Rovere - 1471-1484) vi si recò in processione con il clero e col popolo e fece voto di erigere un tempio, dall’appellativo di quella Madonna detta “della Virtù”. Così sarebbe stato se le conseguenze della congiura dei Pazzi (1478) non avessero originato una guerra generale fra i vari Stati della penisola.
Nel 1484, Baccio Pintelli (1450-1492) fu incaricato della costruzione della chiesa che il Pontefice intitolò poi a Santa Maria della Pace [7]: “alli 13 di dicembre, venerdì, festa di Santa Lucia, papa Sisto andò per Roma et entrò in Santa Maria della Virtù et, stato lì un pezzo ad adorare, battezzò la chiesa della Madonna della Virtù et chiamolla Santa Maria in Pace”.[8]
Allorché Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) si recò, in forma solenne, a consacrare la chiesa da lui restaurata ed abbellita (facciata barocca di Pietro da Cortona), trovò che l’inserzione che coronava un arco di trionfo eretto per la circostanza, diceva: “Morietur in diebus nostris justitia et abundantia pacis”. Era stato Pasquino che, all’“orietur”, aveva aggiunto una “M”, facendolo così diventare “morietur“
Il Bramante (1444-1514), vi costruì il chiostro e nell’interno lavorarono Michelangelo (1475-1564), Raffaello (1483-1520) e ancora, il Peruzzi (1481-1537); il Sermoneta (1520-1580); i Venusti (1515-1579) su disegno di Michelangelo e quando Alessandro VII (1655-1667) volle abbellire ancora il tempio ne affidò l’incarico a Pietro da Cortona (1596-1669). Seguirono poi altri lavori del Maderno (1556-1629) e del Moratti (1625-1713). .
L’annesso monastero, il cui priore aveva dignità di abate e uso della mitra, fu opera del Bramante e fu in origine affidato ai canonici regolari Lateranensi.
Passò, sotto Pio VII (Barnaba Niccolò Chiaromonti - 1800-1823), ai Domenicani ed attualmente la chiesa è officiata da preti secolari.
La chiesa della Pace, con quella di Sant’Agostino (Rione Sant´Eustachio), erano le più mondane alle quali “le cortigiane accorrevano nella maggior pompa de’ loro abbigliamenti, accompagnate da fantesche e da paggi, e ciascuna dalla schiera speciale de’ suoi ammiratori e clienti. La gente si accalcava alle porte ad aspettare l'entrata e l'uscita”.[9]
Al n.10 (Arco della Pace) resti di case del principio del XV sec. in case rimodernate.
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[1] La piccola chiesa di Sant’Andrea de Acquarenariis sorgeva su parte dell’area oggi occupata dalla Chiesa di Santa Maria della Pace ma, diversamente da questa, aveva la facciata principale rivolta verso est che apriva nell’odierno Vicolo della Pace (Huelsen), un tempo denominato Vicolo degli acquarecchiari o del pozzo bianco. La chiesupola presentava un’antica navata preceduta da un piccolo portico. (Roma - Le chiese scomparse di Ferruccio Lombardi - Fratelli Palombi Editori - 1966)
[2] ) Nel 410 d.Ch., Alarico, re dei Goti, tentò la conquista di Roma senza riuscirci e diede sfogo alla sua rabbia razziando e distruggendo l’agro romano. Tra le distruzioni più importanti, quella degli acquedotti che lasciò tutta Roma all’asciutto. Da allora, la carenza d’acqua nella città, oltre a provocare lo spostamento della popolazione romana verso l’ansa del Tevere, fece nascere un nuovo mestiere di gran successo, quello degli acquaioli. Nel XIV secolo era costituita l’Università degli Acquaioli che contribuì alla fondazione dell’Ospedale di San Giovanni che ogni anno riceveva dalla Corporazione degli acquaioli una pianeta sulla quale era ricamato un asino carico di barili d’acqua. Più tardi, l’Università era rappresentata anche nella curia papale dove Paolo V (Camillo Borghese – 1605-1621) introdusse la carica di “acquarolo segreto” e di “sovrastante agli acquaroli di palazzo”. Poco dopo il ripristino degli acquedotti, sotto Sisto V (Felice Peretti – 1585-1590) dell’acqua “Felice” e sotto Paolo V dell’acqua “Paola”, la professione di acquaiolo si estinse.
[3] L’Ariosto, nel 1517, scriveva a fratello Galasso a Roma, di procurargli un piccolo alloggio e fargli trovare al suo arrivo, l’acqua purgata del Tevere. Dice Sextus Iulius Frontinus (41-103 d.C.): “dalla fondazione dell’Urbe, per 441 anni, i Romani si contentarono solamente delle acque che affluivano o dal Tevere, o dai fossi, o dalle sorgenti urbane. Alcune di queste sorgenti sono ancora in efficienza e vengono frequentate a causa della loro salubrità, poiché si crede che portino la salute ai corpi infermi, come ad esempio la fonte delle Camene, quella Apollinara e quella di Giuturna”.
[4] ) La selciatura generalizzata delle vie di Roma fu iniziata nel 1587 da Sisto V (1585-1590). Sisto IV (1471-1484), che fu il primo pontefice che fece lastricare le strade, adoperò, invece, mattoni laterizi messi in opera a spina. Si credeva che i selci mantenessero l'umidità, danneggiando così la salute pubblica. Pio IV in una bolla del 22 settembre 1565, dopo aver constatato che la città era "soggetta all'umidità e in quelle parti dove lastricata con selci è ancor più umida", vietava espressamente "a tutti e ciascuno muratore, sotto pena di esilio e altre pene pecuniarie e anche corporali, da infliggersi ad arbitrio dei Maestri delle Strade, e ai padroni una penalità di 200 ducati, se ardiscano o presumano di lastricare la via con selci, avanti le proprie case". "Ordiniamo inoltre che ogni strada della medesima città sia pavimentata con mattoni di laterizio, mentre le cosiddette guide devono essere di peperino, travertino o pietra, ad arbitrio dei Maestri delle Strade, né frammischiate in una stessa via, ma tutto o di peperino, travertino o pietra". Nel 1587, erano, in questo primo anno, già lastricate e selciate 121 strade, ma poco a poco al mattonato, che costava allora 3 scudi la canna quadrata, si sostituì il selciato che importava una spesa di 22 giuli, per la stessa superficie. Roma ne riportò così, oltre che un vantaggio estetico, anche un non trascurabile profitto igienico, perché strade e vicoli, per mancanza di pendenza, si trasformavano in paludi. Infatti, prima di questo cambiamento, per mancanza di scolo, le “acque pluviali” rimanevano stagnanti e appestavano l’aria tanto che "l'erba cresceva rigogliosa in molte località centralissime, sino a diventar pascolo di armenti".
[5] ) Il 20 dicembre 1512, mentre si recava a Laterano, Giulio II incontrò un lupo nei pressi del Colosseo; e, a metà del 1500, un grossissimo lupo fu “veduto in Trastevere donde gli fu data la caccia, e insomma ucciso".
[6] L’immagine della “Madonna della Virtù” si trova oggi sull’altare maggiore di Santa Maria della Pace.
[7] ) E pensare che Pasquino, alla morte del Pontefice (1484), il 12 agosto, dopo la pace di Bagnolo (7 agosto), scrisse: “Nulla vis saevum potuit extinguere Sixtum (IV); - Audito tantum nomine pacis, obiit” (Nessuna forza poté estinguere il feroce Sisto; egli, appena sentito il nome “Pace” morì).
[8] ) L’immagine trecentesca originale, con ancora i tre colpi di stiletto, suggellati di cera rossa, è stata recentemente restaurata.
[9] ) Anno 1629 – “É cresciuta tanto la temerità di alcuni che, non contenti di dare molestia per le strade alle donne honorate, non senza vergogna e tema di Dio, entrano nelle chiese a vagheggiare, facendo circoli. Né li basta questo: che stanno intorno al vaso dell'acqua benedetta gettando l'acqua alle donne honorate con parole brutte, con burla e risa con molto scandalo del popolo, et questo addiviene in ogni Chiesa dove ci è concorso di festa e statione” (Archivio del Governatore). I servi ed i paggi erano assunti dalle "semidame" nelle sole domeniche, ed essi, per quel giorno, venivano pagati e vestiti. Nei giorni feriali tornavano alla loro libertà sino alla festa seguente.
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